Cookie Policy Lealtà e crescita: processi di cambiamento e di responsabilità

Quando cambiare è difficile

In che misura siamo responsabili degli altri e di noi stessi? Dove inizia e termina la nostra responsabilità riguardo le nostre scelte, la costruzione della nostra vita? Quanto quello che ci accade dipende da noi e quanto dal destino, dal caso o se preferite da Dio o da altri fattori che non sono sotto il nostro controllo?

Generalmente le persone si dividono in due tipologie a seconda dove tendono a mettere il focus della loro attenzione: se verso l’esterno oppure verso l’interno. In psicologia viene chiamato locus of control. Quelle caratterizzate da focus esterno tendono ad attribuire la responsabilità sempre all’esterno: qualunque cosa accade è dovuto agli altri. Sono persone che tenderanno a dire: le cose con mia moglie non vanno perché lei non mi capisce, perché lei pensa solo a se stessa, perché lei mi trascura, ho preso un brutto voto perché la professoressa non capisce nulla, il mio capo non mi apprezza perché gli altri sono raccomandati.. ecc.. ecc.. Sono quella tipologia di persone che sono impegnate a dare la “responsabilità” agli altri e si caratterizzano per una poca capacità di avere controllo sulla propria vita. Perché questo è chiaro, se la tua vita non la controlli tu allora la controlla qualcun altro o qualcos’altro! Queste, sono anche persone, che si caratterizzano per una bassa tolleranza alle critiche e per una tendenza a lamentarsi e da una certa dose di passività. Le persone con focus interno invece tendono ad essere più protagoniste e assertive. Tendono ad individuare i fattori di causa di ciò che gli avviene all’interno di se stesse. Quindi una persona con locus of control interno potrebbero dire : Se voglio che le cose con la mia fidanzata vadano meglio dovrò impegnarmi di più; se il capo non ha dato a me la promozione probabilmente non ho fatto tutto il necessario per ottenerla, sono insomma persone che tendono ad assumersi pienamente la responsabilità della loro vita. C’è da aggiungere tuttavia che se una persona con controllo interno ha una bassa autostima la miscela può essere esplosiva! la sua attenzione sarà, infatti, rivolta a quelle che percepisce come delle mancanze di se stesso e il suo dialogo interno sarà caratterizzato da autocritica. In questo caso potrebbero tendere a stati di ansia o depressivi. Del resto è un’illusione pensare che tutto dipenda da noi e che abbiamo la capacità di controllare ogni cosa. Come ognuno di noi ha sperimentato nella propria vita, molte cose non possiamo controllarle.

 

L’argomento è complesso e si potrebbe scrivere davvero all’infinito. Come ad esempio i leader di successo hanno tendenzialmente un locus of control interno abbinato a una certa dose di ottimismo, ovvero sono persone che tendono ad assumersi la responsabilità delle cose che gli accadono e nello stesso tempo tendono ad agire con la convinzione di riuscire. Tuttavia questo ci porterebbe lontano dall’intento di questo posto e quindi cercherò di restringere il campo e focalizzarmi sulla responsabilità che ognuno di noi ha nelle proprie relazioni e rispetto a se stesso. Come accade spesso nei miei post, con l’intento di condividere riflessioni di chi ama continuare a crescere e scoprire.

Come ho spiegato in qualche altro post, sono uno psicoterapeuta ad orientamento sistemico relazionale. Alla base di questo approccio vi è l’idea (che poi è un fatto) che i nostri comportamenti, le nostre emozioni e i nostri stati d’animo sono ineluttabilmente e imprescindibilmente connessi a livello interpersonale. Ogni azione, ogni comportamento è comunicazione . Inoltre si può anche dire che ciò che ci avviene, lo scambio comunicazionale,  è sempre contestuale ovvero che il contesto influenzerà i nostri comportamenti e, anche, che i nostri comportamenti tenderanno ad influenzare il nostro ambiente. Questa idea è così forte che, in questo approccio, si valutano sempre gli aspetti relazionali dei sintomi e si analizza sempre il contesto poiché come spesso accade, rinforza o mantiene la sintomatologia. Banalizzando e sintetizzando molto si potrebbe dire che il sintomo ovvero lo stare male o un comportamento disfunzionale non viene visto come un fatto semplicemente individuale ma di sistema (coppia, famiglia, scuola ecc..). Per una ragazza che soffre di disturbo alimentare ad esempio si parla di “famiglia anoressica o anoressizzante” o per un marito alcolista c’è sempre una compagna dipendente, per un tossicodipendente c’è la famiglia tossicodipendente e così via o la famiglia psicosomatica.

In questo concetto di “legame relazionale” e di influenza reciproca, sta anche il motivo, insieme ad altri fattori, del perché è molto difficile cambiare. Qui ci si riferisce ai legami relazionali principali ovvero con persone altamente significative per noi stessi. La difficoltà sta nel fatto che il cambiamento che riusciremo a produrre nei nostri modi di fare, di pensare di comportarci non riguarderà solo la nostra vita ma il cambiamento si espanderà fino ad arrivare e ad impattare anche sulla vita delle persone a noi legate (che potrebbero non esserne contente). In generale le persone amano stare nella zona di “confort” e amano meno le sorprese!

 Le relazioni hanno sempre una storia e si strutturano nel tempo. In questo processo di co-costruzione e nel passare del tempo le persone tendono ad attribuire ruoli e modi di fare agli altri e si aspettano alcuni comportamenti e non altri. Sarebbe del resto strano il contrario. Immaginate che ogni volta che incontrare qualcuno di trovarvi davanti sempre una persona diversa da come lo avete conosciuto, sarebbe pazzesco!

Non so se vi è mai capitato ad esempio di esservi comportati in un certo modo in una certa fase della vostra vita e poi, come accade ad ognuno avete cambiato opinione e quindi, anche i vostri atteggiamenti verso una specifica cosa o semplicemente crescendo siete cambiati. Nonostante il vostro cambiamento e nonostante siano magari passati anni, se incontrate una persona che conoscevate in quella specifica fase tenderà a vedervi allo stesso modo e ad aspettarsi da voi le stesse modalità relazionali, gli stessi pensieri e gli stessi atteggiamenti. Le relazioni stabili e durature in questo senso non sono amiche dei cambiamenti. Questo spiega anche perché a seguito di importanti cambiamenti nella personalità spesso cambiano anche gli amici e le situazioni di vita. Questo spiega anche perché ad esempio le coppie entrano in crisi quando uno dei due partner avvia un processo di cambiamento.

Facciamo un altro esempio se siete una persona sempre accondiscendente, disponibile e tendete ad evitare il conflitto per paura magari di dispiacere “l’altro” o di perderne l’ approvazione che sia nel contesto lavorativo, familiare o magari con il vostro partner, lascerete gli altri a bocca aperta quando comincerete a dire qualche no o ad esprimere un’opinione diversa dagli altri magari generando qualche conflitto.

È probabile che questo livello di influenza che subiamo dai nostri contesti di vita e dalle altre persone è abbastanza comprensibile per tutti e se vi fermate a riflettere non avrete difficoltà a collegare alcune vostre difficoltà di portare avanti dei cambiamenti a quanto detto sopra.

Rapportarsi in modo diverso con il vostro capo o con un vostro insegnante è complicato e dobbiamo fare un grande sforzo se vogliamo cambiare queste relazioni assumendoci responsabilità di noi stessi e dei nostri comportamenti.

Quello di cui dovremmo convincerci e prenderne consapevolezza è che noi siamo davvero responsabili solo di noi stessi per il resto possiamo solo farci degli auspici e fare degli inviti  affinché gli altri cambino; possiamo invitare a riflettere ma nulla di più. Non possiamo controllare tutto, tantomeno gli altri. A dire il vero, a ben guardare, possiamo controllare poche cose e la sfida alla quale credo non dovremmo sottrarci è quella di riuscire a controllare le cose della nostra vita, quelle che dipendono da noi. Il modo in cui agiamo nelle nostre relazioni, chi scegliamo, quali persone, il nostro benessere o malessere, queste dipendono in gran misura da noi.

Facile a dirsi, difficile a farsi. Questo perché le nostre scelte e quindi anche il nostro senso di responsabilità si è costruito nel tempo ed è soggetto a insegnamenti avvenuti nelle prime fasi della nostra vita. Per questo, quando si parla di consapevolezza e di autonomia, si parla di processo.

Come ho detto sopra, infatti, le nostre decisioni e i nostri cambiamenti impattano sugli altri in modo direttamente proporzionale a quanto sono legati a noi. Siamo in una rete di legami e connessioni che si intrecciano nel presente ma che rimandano anche al passato fino ai nostri nonni e ai loro familiari e determinano il futuro condizionandone le scelte.

Un po’ come una marionetta con tanti fili, alcuni di essi vanno verso l’alto, arrivando a generazioni passate, magari che non ci sono neppure più nel presente. Anch’esse condizionano i nostri modi di fare attraverso una serie di introiezioni e patti di lealtà intergenerazionali.

Facciamo un altro esempio: Immaginiamo un ragazzo di 23 anni che vive in casa con i genitori e da loro dipende economicamente. Supponiamo che si confida spesso con la madre con cui ha un rapporto molto stretto; ha qualche amico con cui passa le serate e ottiene dai genitori ciò che voleva.

Tuttavia non riesce ad ottenere buoni risultati all’università, le cose con gli amici non vanno un granchè e non riesce a trovare una fidanzata. Ad un certo punto comincia a sentirsi ansioso ed angosciato. Magari indagando meglio sulla situazione scopriamo che nonostante i genitori si lamentano dei suoi scarsi risultati universitari con lui sono affettuosi, accudenti e protettivi. La madre è molto attenta ai suoi bisogni. Situazione del resto non rara. Poniamo che spinto da una sintomatologia di tipo ansiosa, dopo un percorso personale quel ragazzo riesce a cambiare alcuni suoi comportamenti e si trova un lavoretto riuscendo a raggiungere una parziale autonomia economica e che si impegna all’università in modo più convinto tanto che i risultati non tarderanno ad arrivare. Pochi mesi dopo si fidanza e dopo qualche tempo già si paventa la laurea e il ragazzo condivide con i genitori il suo progetto di trovarsi una casa con un amico perché sente l’esigenza di avere spazi per se e di voler essere maggiormente autonomo. Capite bene che il cambiamento del ragazzo non riguarda solo lui ma l’intero sistema familiare che dovrà cambiare di conseguenza.

Le situazioni che potranno avvenire a questo punto sono diverse.

 Una possibilità, diciamo quella auspicata, è che tutti sono molto contenti e soddisfatti del nuovo atteggiamento del ragazzo e anche se i genitori sentono la fatica del distacco lo sostengono e lo aiutano.

Un’altra situazione, che spesso approda negli studi di terapia, è che i genitori non comprendono le scelte del figlio e non lo sostengono. Le giudicheranno affrettate e di poca sostanza. Una madre potrà dire ad esempio: una casa ce l’ hai perché pagare un affitto?.

Generalmente questo è un atteggiamento non di genitori cattivi o poco sensibili ma di genitori angosciati e sofferenti che temono il distacco e l’abbandono.

Così i genitori tenderanno ad ostacolare in modo implicito o esplicito le scelte prese dal figlio. Non è raro che uno dei genitori possa prendere la posizione del tipo: se vai via però poi non torni! oppure: però poi non chiederci soldi!

Posizioni che possono rappresentare un grande freno per l’iniziativa del ragazzo che potrebbe sentire di perdere una rete di protezione. In questo caso, la posizione dei genitori, di fatto tende a boicottare il progetto di autonomia, rendendolo più difficile. Deve essere chiaro che queste istanze possono essere portate avanti in modo non esplicito o consapevole. Del resto tutto questo sarà probabilmente sostenuto da una certa indecisione del ragazzo che si farà vedere titubante e incerto.

 Molti genitori direbbero che sono contenti che il figlio trovi un lavoro e vada via di casa ma tra le righe, tra i toni delle loro frasi si coglie il malumore e l’insofferenza per un’iniziativa di questo tipo. Torniamo al ragazzo: a sua volta, potrà tirare dritto per la sua strada oppure entrare in crisi poiché a qualche livello sente di non aderire ad una richiesta dei genitori, richiesta che attiva sentimenti di lealtà e aderenza che sente forti così come sente forte la richiesta interna di autonomia. Talvolta le istanze sono così pressanti che potrebbe rinunciare al suo progetto almeno per un po’. Ad esempio potrebbe comparire nuovamente uno stato ansioso o depresso che lo porterà a lasciare il lavoro e a rallentare con l’università. Qui torna di nuovo il concetto di responsabilità. Perché di fatto il sintomo, in questo caso l’ansia, aiuterà a risolvere il conflitto che si trova a vivere questo ragazzo. Il progetto di autonomia sarà rinviato a tempi futuri ma lui potrà dirsi non di aver rinunciato ma che non poteva per via dell’ansia così anche i genitori si tranquillizzeranno per la mancata partenza del figlio. Saranno si preoccupati, ma per l’ansia non per il bisogno di autonomia. Grazie all’ansia il tempo familiare così viene sospeso.

Ancora parlando del concetto di responsabilità. Siamo responsabili dei dispiaceri degli altri? Se un nostro desiderio, un nostro progetto si scontra con le aspettative o con quello che altri desiderano per noi, dobbiamo rinunciarci per amore verso di loro. Se una madre si sente male perché il figlio decide di provare a vivere da solo non è forse meglio lasciar stare almeno per il momento questo progetto? In questo caso la responsabilità di quel dispiacere sta nella madre o nel figlio?

Probabilmente la maggior parte delle persone, almeno a livello razionale, farebbe il tifo per il ragazzo dell’esempio e gli direbbe: vai e realizzati, ma le situazioni nella vita reale sono molto più complesse e molti di noi rinunciano ad essere ciò che potrebbero, in virtu’ di legami di questo tipo.

Ritengo però che noi, siamo responsabili di noi stessi e delle nostre scelte e non delle emozioni che gli altri provano nei riguardi di queste.

E’ evidente che le nostre azioni influenzeranno gli altri ed è bene tenerne conto ed essere sempre rispettosi di questi legami così importanti. Ma questo non dovrebbe voler dire rinunciare a scegliere ciò che per noi è giusto. L’autonomia o come viene chiamata in psicologia la differenziazione è in qualche modo legata al fatto di riuscire a comprendere che raggiunta “l’età della maturità”, c’è un’influenza ma anche una distanza/autonomia tra noi e i nostri altri significativi. Del resto “L’altro significativo” dovrà a sua volta imparare ad apprezzare l’autonomia e la differenziazione anche se a volte può spaventare.

“Poi bisogna diventare grandi e inventarsi la propria vita e non vivere quella che altri hanno scelto per noi.”

Savater, Etica per un figlio