Lavoro da diversi anni come psicologo e psicoterapeuta oltre che con le persone singolarmente, con le famiglie. Oltre all’esperienza comune che può fare chiunque, la mia esperienza è quindi anche di tipo clinico. Nel mio studio Incontro le famiglie perché in difficoltà in qualche area della loro vita. A volte un figlio che non vuole andare a scuola; altre volte un figlio che ha una diagnosi di qualche tipo, comportamentale o psicologica.
Poi ci sono molte altre situazioni, le più varie, per cui una famiglia si può rivolgere a me per una consulenza. Si passa da problemi di sostanze di un figlio, problematiche legate al gioco d’azzardo o una più generica conflittualità tra genitori e figli, ansia sintomi ossessivi, disturbi alimentari, comportamenti autolesivi, mutismo selettivo e così via.
Lavoro con le famiglie da quando ho scelto una specializzazione in psicoterapia che contempla e prepara anche a lavorare con la famiglia. Inoltre ho lavorato in strutture come le comunità terapeutiche, che dell’intervento psicoterapico familiare facevano un punto importante del programma riabilitativo dei ragazzi che vi erano ospitati.
Più volte mi sono chiesto in questi anni quale fosse la famiglia “normale”. Quando ero più piccolo, guardando alla mia famiglia la ritenevo un po’ speciale differente da tutte le altre, mi piaceva. Le altre, quelle dei miei amici, mi sembravano strane. Crescendo verso l’adolescenza ho cominciato a vedere le stranezze anche nella mia. Oggi so che la mia famiglia ha delle aree di forza e delle aree di fragilità e so che nel tempo è stata sia una famiglia funzionale ed efficiente ma anche che in altri momenti particolari, invece, è stata una famiglia meno funzionale e ha avuto maggiori difficoltà ad affrontare le situazioni e i cambiamenti che la vita le ha posto davanti.
Lavorando con le famiglie questa è una cosa che si impara presto, la famiglia come struttura cambia ( o dovrebbe) nel tempo. In psicoterapia si parla di ciclo di vita della famiglia. Tutti gli esseri viventi rispettano un ritmo evolutivo: nascono, crescono, si sviluppano poi invecchiano e muoiono e devono assolvere lungo tutto questo processo ad alcune funzioni specifiche in relazione alla fase del processo stesso. Così fa anche la famiglia che può essere considerata a tutti gli effetti un organismo vivente. La famiglia si costituisce nel momento in cui nasce un figlio, si sviluppa nel tempo e deve assolvere a dei compiti evolutivi che nel tempo cambieranno. Quindi cresce, invecchia e poi perde membri significativi e la generazione successiva continuerà il ciclo.
Quello che si impara in stanza di terapia e leggendo libri e ricerche dedicate è che la famiglia è un organismo vivente che è fortemente influenzata dalla cultura in cui è inserita. Sono molto differenti le famiglie nelle diverse culture e sono differenti le famiglie all’interno di una cultura nei diversi periodi storici.
Guardando ad esempio alla situazione italiana la famiglia di oggi è molto differente dalla famiglia di 30 o 40 anni fa. Quando in clinica si è cominciati a lavorare con le famiglie, ormai 60 anni fa, queste rappresentavano il centro organizzativo della vita affettiva e psicologica delle persone. Erano generalmente composte da due genitori e due o tre figli. Oggi questa tipologia della famiglia rappresenta solo una minoranza delle famiglie .
Sempre più spesso il matrimonio finisce e le persone si separano. Le famiglie si organizzano in sistemi più complessi che si caratterizzano per la convivenza con altre persone che a loro volta hanno altri figli da precedenti unioni ovvero quelle che vengono chiamate le famiglie ricostituite. Inoltre si è allungata l’età di uscita dalla casa della famiglia di origine e si è spostato in avanti l’entrata del mondo del lavoro così le persone raggiungono un’indipendenza economica più tardi e vanno a convivere o si sposano più tardi. Anche il tentativo di avere figli quindi avviene più in là nel tempo e non è raro che si hanno figli dopo i 35 anni. Questo fa si che spesso si ha un solo figlio e l’avanzare dell’età contribuisce alle difficoltà di procreazione e quindi la scelta di adottare un bambino. Questa diventa così una famiglia adottiva che per sua natura incontrerà specifiche aree problematiche. Tutte queste trasformazioni non possono che incidere anche sul modo di assolvere alle funzioni genitoriali che per alcuni aspetti si complicano poiché la famiglia separata deve trovare modi personali per far fronte alle richieste evolutive dei figli. Quando infatti ci sono i figli la separazione o il divorzio se significa la fine della coppia non significa la fine della genitorialità e quelle persone, volenti o nolenti, attraverso il legame con i figli resteranno comunque legate e dovranno assolvere comunque alle responsabilità genitoriali.
Per tornare alla domanda iniziale: qual è la famiglia normale?, nessuna definizione sembra tenere conto della complessità della situazione. La trappola è insita nella domanda stessa e nella parola normalità che oltre ad essere un concetto relativo e soggettivo è infatti, un concetto statistico che quindi tende a non tener conto delle specificità e della complessità della realtà che si caratterizza per molte sfumature.
Tuttavia alcune riflessioni utili possono essere fatte. In questa direzione ci aiutano i terapeuti familiari.
Alcuni individuano alcune categorie principali di normalità riferite alla famiglia: quella che considera normali le famiglie asintomatiche, quella basata sul criterio della norma statistica, quella che giudica normali le famiglie che funzionano in modo ideale od ottimale, ed infine quella che ritiene normali le famiglie che riescono ad affrontare con successo i compiti specifici di ogni fase del loro ciclo di vitale (walsh 1995).
Quest’ultima categoria è quella che a mio avviso risulta più utile poiché pone l’accento sulla dinamicità e sul cambiamento che caratterizza ogni famiglia e che la propria normalità o patologia non può essere staccata da tale dinamicità. Spiegandomi meglio una famiglia che in un determinato momento può essere definita normale ovvero riesce ad assolvere in modo funzionale e ben adattivo alle richieste esterne ed interne al sistema e a rispondere in modo efficace alle esigenze del gruppo e dei singoli membri in un determinato momento, non è detto che in un’altra fase del proprio ciclo vitale quella stessa famiglia si adatterà così bene.
Quindi una famiglia va inserita all’interno di un contesto storico-culturale da una parte e all’interno di un ciclo di vita dall’altra. Del resto le sfumature sono molte anche in relazione all’approccio specifico da cui si guarda alla famiglia. In un approccio strutturale ad esempio la famiglia normale sarebbe quella che si caratterizza per confini chiari e allo stesso tempo flessibili, una solida gerarchia generazionale, ed una condivisione sufficientemente paritaria del potere nell’ambito del sottosistema genitoriale.
Secondo lo psicoterapeuta familiare C. Witaker, la famiglia sana è un sistema aperto, caratterizzato da confini chiari e permeabili, adeguata distinzione tra le generazioni, flessibilità delle regole e dei ruoli, buone capacità di soluzioni dei problemi, consapevolezza del trascorrere del tempo e del processo del divenire e da una comunicazione chiara.
In sintesi tutti i diversi modelli e orientamenti danno particolare importanza proprio alla flessibilità e alla capacità di adattamento della famiglia per una condizione di normalità. Quindi la famiglia sana non è quella famiglia dove non si litiga o dove non ci sono conflitti ma piuttosto quella famiglia che è capace di affrontare in modo costruttivo i conflitti e le tensioni e dove ogni membro possa sentirsi riconosciuto e avere il proprio spazio di individualità. La famiglia sana non è quella che non ha problemi ma quella che riesce a trovare al proprio interno la capacità e le risorse per affrontarli e risolverli. Per contro si può ben dire che una famiglia diventa patologica proprio quando perde la capacità di adattarsi e di essere flessibile, non riuscendo più a rispondere alle richieste interne ed esterne ad essa.
In conclusione possono essere rintracciate alcune variabili chiave, identificando una serie di processi che si possono ritenere fondamentali per il buon funzionamento familiare: connessione ed impegno di tutti i componenti in un’unità di cura e sostegno reciproco; rispetto per le differenze individuali, l’autonomia e i bisogni dei singoli, mutuo rispetto; sostegno e condivisione equa del potere nell’ambito della relazione della coppia genitoriale, autorità genitoriale competente ed efficace; stabilità organizzativa, con chiarezza, coerenza e prevedibilità degli schemi interattivi; adattabilità ovvero flessibilità nell’affrontare richieste interne ed esterne di cambiamento; comunicazione aperta; efficacia dei processi di soluzione dei problemi e di risoluzione dei conflitti; presenza di un sistema di credenze condiviso che permetta di mantenere una fiducia reciproca, di restare in contatto con le generazioni precedenti, e di conservare l’apertura verso l’ambiente esterno; sicurezza economica di base e sostegno psicosociale fornito da reti di parentela estese e di amicizia (Froma Walsh).
Ognuna di queste componenti potrà esprimersi in modo diverso e peculiare in relazione al contesto e alla cultura di appartenenza.
Quindi la famiglia a ben vedere è davvero qualcosa di complesso ed è chiamata a rispondere a molte funzioni anche oggi che tuttavia ha perso parte di quella centralità che ha ricoperto per molto tempo in passato. Non è sbagliato pensare che anche l’indebolimento dei legami e delle funzioni familiari stiano contribuendo in assenza di valide strutture alternative, a molte sintomatologie che si incontrano oggi negli studi e nei servizi di psicoterapia.