Cookie Policy Figure minacciose o rassicuranti per i nostri figli? - Dott. Igor Siciliano

Rispondere a questa domanda è facile! Chiunque di buon senso direbbe che è preferibile essere figure rassicuranti. Ma la realtà è spesso molto differente. Sentiamo in televisione o in giro per il web, o ancora più semplicemente da amici, di storie aggressive, di maltrattamenti psicologici o fisici, di rapporti ostili e conflittuali proprio con le figure principali. In che modo l’ambiente in cui cresciamo e i rapporti interpersonali che lo caratterizzano ci influenzano?

Se immagini di andare dallo psicologo, molto probabilmente, avrai il pensiero che dovrai parlare prima o poi dei tuoi genitori, di tua madre, di tuo padre e della tua infanzia. Così infatti è rappresentato nell’immaginario collettivo, ciò che avviene in una seduta di psicologia; magari sdraiati su un lettino. Lasciando da parte quest’ultimo elemento, il lettino, non è un pensiero del tutto sbagliato. Se farai una psicoterapia sicuramente ad un certo punto del percorso ti troverai a lavorare insieme al tuo terapeuta sulla tua storia e dei rapporti che avevi in tenera età con i tuoi familiari e i familiari tra loro.

La domanda che vorrei farti è: sai perché la nostra storia, la relazione con i nostri genitori ci ha influenzato e ci influenza ancora tutt’oggi?

Bhè la domanda presuppone che tu sia d’accordo con la premessa ovvero che i genitori non solo ci hanno influenzato quando eravamo piccoli, ma continuano a farlo anche quando siamo grandi, autonomi e magari anche se loro non ci sono più. Quindi do per scontato che sei almeno d’accordo con l’affermazione iniziale ovvero che i nostri genitori e il rapporto con loro ci ha influenzato. Non ne sei convinto? Ok. Che ne pensi è davvero possibile? Insomma è davvero possibile che la famiglia organizza la personalità di una persona? Come una mamma abbandonica o un padre violento o ancora una madre ipercritica influenzerà lo sviluppo del figlio? Questa influenza quanto è radicata in quel bambino, futuro adulto sintomatico? Quali sono i meccanismi biologici capaci di spiegare tale impatto?

Proviamo a ragionare sulla questione. A tele scopo ci vengono in aiuto le ricerche in campo scientifico riguardo l’argomento, ossia su come la personalità delle persone viene influenzata. Questo avviene attraverso il concorrere di diversi fattori. Le ricerche evidenziano, infatti, che i fattori principali nella costruzione della personalità, ossia dell’insieme dei tratti prevalenti che caratterizzano il nostro modo di essere, di fare e di percepire il mondo sono sostanzialmente tre: i fattori genetici, temperamentali e i fattori psicosociali. Tra questi ultimi c’è l’ambiente, la cultura e ovviamente la nostra famiglia e il contesto specifico dove siamo nati e cresciuti. Quest’ultimo fattore è quello di cui si occupano gli psicologi e gli psicoterapeuti. Infatti non possiamo cambiare ancora la genetica così come non possiamo determinare ancora il temperamento di un nascituro. Ma possiamo cambiare, correggere e curare apprendimenti che dipendono da fattori psicosociali. Quanto ognuno di questi fattori contribuisce, in quota parte, alla costruzione della personalità non è dato saperlo ma molti ricercatori e clinici sostengono che i fattori psico-sociali pesano almeno per il 50%. Peso questo che concorrerà, interagendo con gli altri fattori, a determinare lo sviluppo della personalità di una data persona.

Tra i fattori psicosociali di straordinaria importanza, indovina chi troviamo?

Esatto. Proprio la relazione con i nostri genitori o di chiunque si è occupato di noi nelle prime e primissime fasi della nostra vita.  Sai il perché?

È davvero complesso quello che accade nel cervello di un bambino e va oltre questo post descrivere i molteplici fattori e meccanismi che avvengono ma voglio soffermarmi su un aspetto specifico che rende l’idea di quanto le figure di accudimento siano importanti e quindi quanto possono influire.

Per renderci conto di questo dobbiamo ragionare in modo scientifico e quindi laico. Chi ha una spiegazione religiosa o fatalista o casualistica troverà difficile seguire questo ragionamento. Infatti il ragionamento di seguito proposto si basa sulla teoria evoluzionistica e la teoria dell’apprendimento. La prima dice (sintetizzando al massimo) che la natura premia le caratteristiche che predispongono alla sopravvivenza della specie, la seconda ci insegna che l’apprendimento è la caratteristica peculiare del genere umano almeno per la sua capacità di esprimersi. Si apprende attraverso la ripetizione e l’esposizione prolungata.

Quindi nel momento in cui nasciamo, ovunque si trovi il neonato, in un paese caldo o freddo, a nord o a sud, in un ambiente ricco o al contrario povero, ciò che è stato programmato a fare è provare a sopravvivere. D’altro canto è così anche per chi ha partorito quel neonato: è programmato per farlo sopravvivere, è ciò che viene definito l’istinto materno (ovviamente si fa riferimento ad una situazione di normalità).

Allora la domanda è come la natura ci ha programmato per raggiungere, con la maggiore probabilità possibile, per questo scopo ossia a sopravvivere?

Ebbene dotandoci di alcuni istinti. Nello specifico l’istinto di nutrizione e quello di attaccamento. Il primo è quello più conosciuto e di intuitiva comprensione. Il neonato, appena partorito, se messo sul ventre della madre tenderà a risalirlo fino ad arrivare al seno e prendere il clostro.

Meraviglioso no? Come una piccola tartaruga che schiude l’uovo si dirige verso il mare in modo istintivo, il neonato raggiunge il seno per nutrirsi. C’è una differenza tuttavia con la tartaruga e la maggior parte degli esseri viventi. Il bimbo piccolo ha, infatti, bisogno di essere aiutato poiché da solo non ce la farebbe a farlo. È infatti troppo debole, il tono muscolare flaccido e impreparato. Ha quindi l’istinto di farlo ma non ha ancora la capacità e qui interviene l’istinto materno che spinge la madre ad aiutarlo. Già in questo esempio che descrive i primi istanti di una persona si può notare l’importanza dell’altro. Già dai primissimi secondi di vita.

Passiamo ora all’attaccamento. Darò per scontato alcune cose al riguardo e rinvio ad altri miei post per approfondimenti. Qui mi basta dire che è un istinto pari per importanza all’istinto di nutrizione in quanto stabilire un attaccamento permette lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Al contrario di quello che si pensava fino a pochi anni fa in cui le cure affettive ed emotive venivano viste come qualcosa di secondario e non essenziale. Si pensava, infatti,  che fosse sufficiente nutrire il bambino e lavarlo. Da qui anche alcune credenze popolari come che “i figli si baciano solo di notte”!

La realtà è che  Il bambino senza un comportamento di attaccamento non sopravviverebbe a livello psichico. Questo è ciò che è stato notato sia in laboratorio con primati che erano stati allontanati dalle proprie madri alla nascita e, cresciuti senza nessuno ma solo ricevendo il cibo. Sono molte le esperienze fatte dagli operatori e dai clinici che lavoravano nei brefotrofi (orfanotrofi) che raccontano questo impoverimento cognitivo e l’emergere di comportamenti sintomatici nei bambini privati di cure affettive e calore umano. I befotrofi erano strutture presenti in tutta europa alla metà dello scorso secolo. Quei bambini istituzionalizzati, fin dalla nascita, in condizioni di abbandono affettivo ed emotivo crescevano con disturbi del comportamento.

Comunque ciò che si può affermare è che il comportamento di attaccamento è presente e attivo ogni qualvolta il bambino deve valutare se una cosa è sicura oppure è pericolosa. Ricordi? Stiamo parlando di come ci ha programmato la natura per poter sopravvivere. E per poter sopravvivere la prima cosa è evitare i pericoli e tendere a ricercare situazioni sicure. Come fa questo il neonato? Lo fa attraverso l’attivazione di due canali neurofisiologici: il sistema simpatico e parasimpatico. Ed ecco come la natura ci ha programmato e regaloto sistemi utili alla sopravvivenza. Il primo viene attivato da situazioni percepite come minacciose, spiacevoli o pericolose mentre il secondo è attivato da situazioni piacevoli e sensazioni di sicurezza.

Mentre il primo canale, quando si attiva, produce sostanze come cortisolo, adrenalina, noradrenalina, sostanze che attivano sensazioni legate a paura e insicurezza il canale parasimpatico produce sostanze come serotonina o dopamina ovvero sostanze che danno una sensazione di benessere. Quest’ultimo canale la natura ha deciso che è attivo quando siamo in prossimità con la nostra figura di attaccamento, questo legame e la vicinanza a questa figura tende ad inibire il canale simpatico. I due canali infatti tendono ad escludersi vicendevolmente. Quando è attivo uno viene inibito l’altro.

Ma se la figura che dovrebbe essere la figura di attaccamento ovvero quella che da sicurezza e benessere è anche una figura che spaventa e mette paura come ad esempio un genitore abbandonico o violento? Ebbene accade che entrambi i canali tenderanno ad essere attivi contemporaneamente. Il neonato tenderà, allora, ad associare la minaccia e la sicurezza e a confonderle l’una con l’altra. Si creerà un cortocircuito. Ovviamente a chiunque nella vita quotidiana, nello stress di tutti i giorni, gli può esser  capitato di essere stato troppo severo con il proprio figlio piccolo. Peccato, ma non succede nulla. Il punto è quando il comportamento è continuo e ripetuto nel tempo. Poiché, come detto sopra, qualcosa per essere appresa ha bisogno di ripetizione. Sempre per il principio della sopravvivenza, il bambino si adatterà e sopravviverà all’esperienza così contraddittoria ma apprenderà anche ad esempio, a sentirsi al sicuro in situazioni minacciose. E questo non varrà solo nell’infanzia o nell’adolescenza ma questa tipologia di apprendimenti, poiché hanno a che fare con la propria sopravvivenza tenderanno a persistere e ad essere utilizzati anche in età adulta. Il sistema nervoso si sarà strutturato in uno specifico modo e tenderà a funzionare in quel modo a meno che non vi sia la possibilità di un nuovo apprendimento capace di abbandonare e superare il primo.

In conclusione ecco uno dei motivi per cui le prime fasi di vita e le relazioni primarie avute in quel periodo ci hanno condizionato e ci condizionano ancora pur essendo passati moltissimi anni. Questo è un esempio come la biologia e le relazioni si influenzano e si determinano vicendevolmente.

Questa è anche la ragione per la quale è necessario un percorso costante e di una certa durata in psicoterapia per produrre cambiamenti negli schemi di personalità.