Medici di base e psichiatri
Se sei un medico, magari uno psichiatra o un neurologo, sarai propenso a guardare ai sintomi psichici emotivi come l’ansia, la depressione, gli attacchi di panico o le fobie ossessive come ad un mal funzionamento del sistema nervoso o ad un mal funzionamento a livello neuronale. Anche i comportamenti conseguenti così, assumeranno un significato legato al sistema neuronale.
È normale che in quest’ottica i sintomi affettivi, psicologici e comportamentali, vengano letti attraverso il funzionamento del SNC (Sistema Nervoso Centrale) e attraverso l’analisi del funzionamento di neurotrasmettitori, sinapsi e in generale delle reazioni chimiche che avvengono nell’organismo.
Se l’ipotesi è che il malessere, la sofferenza psichica ed emotiva deriva da uno squilibrio o da un mal funzionamento del sistema nervoso o della produzione di sostanze chimiche nel nostro organismo è lecito cercare la soluzione a questa sofferenza o a questo mal funzionamento attraverso i farmaci che altro non sono che reattori chimici e producono sostanze o inducono il sistema nervoso a produrle.
La teoria che ci guida quindi giustifica le nostre scelte. La teoria si basa su delle ipotesi e l’insieme delle ipotesi quindi la nostra teoria sul mondo e sui fenomeni che lo caratterizzano guida la ricerca di soluzioni.
C’è da dire che nel percorso di formazione medica compresa quella psichiatrica è abbastanza raro che si dia (la giusta) importanza alla psicologia clinica e alla psicoterapia. Da sempre relegate ad aspetti poco scientifici e di secondaria importanza. Del resto non è raro ancora oggi, incontrare persone che dicono : io alla psicologia (quindi agli psicologi) non ci credo!”.
Anche se negli ultimi anni le cose sono cambiate (migliorate) e si da maggiore attenzione anche ad altri aspetti oltre quello “organicistico-genetico”, non credo sia sbagliato dire che la visione meccanicistico-deterministica prevale ancora anche nella specializzazione in psichiatria.
Riassumendo: Se si guarda alla malattia psichica e al disagio emotivo e ai comportamenti disfunzionali con dalle premesse mediche (di origini Cartesiane) è comprensibile che i farmaci, i neurolettici, gli ansiolitici e tutta la numerosa famiglia degli antipsicotici rappresentano il modo migliore per intervenire.
Tuttavia mi chiedo se si può prendere in considerazione allo stato attuale delle ricerche in ambito clinico e psicoterapeutico, di ampliare e arricchire queste vedute di tanti colleghi medici e psichiatri.
Siamo d’accordo sul fatto che i sintomi hanno dei corrispettivi chimici. Ovvero se una persona è ansiosa, o depressa, produrrà certamente sostanze chimiche come cortisolo, noradrenalina, adrenalina ecc.. ma questo non significa che c’è necessariamente un difetto nel sistema di produzione di queste sostanze.
Si può forse prendere in considerazione (da parte di medici e psichiatri) l’ipotesi che gli stati affettivi emotivi o comportamentali hanno delle spiegazioni nella percezione che un individuo ha della realtà e di come ad essa risponde. Del resto come un individuo risponde alla realtà e come a questa si adatta è il frutto di una storia particolare e di migliaia e migliaia di interazioni avute fin da piccolo all’interno della sua famiglia di origine in relazione ai genitori e poi crescendo con altre figure significative.
Riuscire a comprendere e a tenere in considerazione il fatto che le emozioni e i comportamenti sono risposte organizzate ad una realtà percepita attraverso apprendimenti avuti, può aiutare a creare nuove condizioni per promuovere un cambiamento nell’individuo.
Il farmaco pure se utile e a volte necessario, tende a lavorare solo sull’aspetto fenomenologico del sintomo, ovvero ad esempio a ridurre l’ansia ma non a modificare il comportamento della persona. Questo del resto per molte persone può essere sufficiente. Non è infatti ne detto ne necessario che una persona cambi il suo comportamento o diventi consapevole dei sui stili relazionali se non è interessato e può prendere, per la sua ansia, un ansiolitico. Tuttavia quello che a mio avviso si dovrebbe tenere in considerazione è che gli stati affettivi e le emozioni hanno un loro aspetto significativo per il benessere delle persone e quindi vanno tenuti nella giusta considerazione. I farmaci sono la soluzione (non sempre efficace) più veloce e più facile, in perfetta sintonia con i valori delle nostre società, che tuttavia non modifica le condizioni che hanno permesso la crescita e il mantenimento del malessere esperito (a meno che non si tratti di una crisi momentanea e determinata da condizioni specifiche).
Per usare una metafora che spesso viene utilizzata in psicoterapia: se a una macchina si accende la spia dell’olio non sarà sufficiente togliere il fusibile (l’azione effettuata dai farmaci) ma sarà necessario rimettere l’olio e controllare se il veicolo ha una perdita ed eventualmente ripararla.
I medici hanno da questo punto di vista un ruolo importante perché le persone quando stanno male è a loro che si rivolgono.
Ritengo che quando si è davanti a stati di ansia, panico, sintomi depressivi etc. oltre che agli aspetti farmacologici sia di estrema importanza una consulenza psicoterapica. Proprio in questi ultimi tempi del resto si è pensato da più parti l’inserimento dello psicologo di base o di famiglia all’interno degli studi medici e ai medici di base. Del resto ormai da qualche anno gli interventi di psicoterapia sono inseriti nei LEA ovvero nei livelli di assistenza essenziali gestiti dalle regioni.
Riassumendo: Anche in Italia i tempi sembrano maturi perché la cultura medica psichiatrica si apra ai contributi della psicoterapia e della psicologia clinica. Forse sono maturi i tempi perché gli psichiatri, i neuropsichiatri, i medici di base, i pediatri e gli psicoterapeuti e gli psicologi clinici strutturino delle collaborazioni più strette e funzionali.
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