Cookie Policy Dimmi che aspettative avevano e ti dirò chi sei. - Dott. Igor Siciliano

Solo da grandi aspettative si realizzano grandi progetti!

L’essere umano è un animale sociale. Non siamo fatti per essere soli ma al contrario, siamo “programmati” per stare e vivere in gruppi.

Non solo non sopravviveremmo da soli a livello fisico, ad esempio, un neonato non durerebbe un giorno, ma non sopravviveremmo neppure a livello cognitivo. Di questo ne sono prova le testimonianze riguardo le condizioni di sviluppo dei bambini all’interno dei befotrofi dello scorso secolo. A quei bambini veniva dato solamente da mangiare e venivano lasciati per lo più soli, per il resto della giornata.  Accadeva così, a causa della deprivazione affettiva che crescevano con importanti disturbi emotivi e del comportamento. Infatti, oltre al cibo, l’essere umano, ha bisogno come tutti i primati e alcuni mammiferi di contatto e calore per potersi sviluppare in salute.

La presenza degli altri ci condiziona. La qualità delle relazioni con gli altri condiziona il nostro modo di pensare e di agire. Veniamo così influenzati e influenziamo a nostra volta sempre e comunque. Di questo è un esempio il primo assioma della comunicazione umana. Quindi per crescere in salute come ci hanno insegnato Piaget e Bowlby l’essere umano deve passare attraverso tappe di sviluppo che contemplano in modo determinante le relazioni con gli altri. Immersi e protetti dalle relazioni con gli altri significativi possiamo lentamente apprendere gli schemi che ci aiuteranno a diventare adulti capaci di contribuire all’interno dei nostri gruppi sociali. E’ evidente che lungo il percorso di crescita di un bambino le relazioni in cui egli è inserito si caratterizzano per una distribuzione asimmetrica di potere e di influenza. Gli adulti hanno un potere e un’influenza che non ha il bambino. Anche se lo scambio è sempre bidirezionale, il bambino ha una posizione di completa dipendenza dall’adulto ma non viceversa.

In questo breve scritto mi voglio soffermare di come le aspettative degli altri significativi possono condizionarci e di alcune conseguenze che questo può comportare.

Voglio prendere spunto da una ricerca fatta in ambito psicologico effettuata negli U.S.A negli anni sessanta in cui venne somministrato ad alcuni alunni di prima elementare un test per valutarne le abilità.

Alle maestre vennero dati i risultati indicando i bambini che avevano riportato dei punteggi più alti al test di intelligenza dicendogli che questi bambini avevano le caratteristiche dei geni. Quello che venne detto alle maestre non era affatto vero e questi bambini vennero scelti in modo casuale e avevano ottenuti punteggi assolutamente nella norma. La cosa davvero interessante è che alla fine del ciclo di studi vennero nuovamente somministrati i test agli stessi bambini. Ebbene i bambini che all’inizio vennero casualmente individuati come quelli più capaci ottennero davvero un punteggio più elevato in questo secondo test.

Cosa era accaduto?

Ebbene Il solo fatto che le maestre fossero convinte di avere davanti a loro, bambini dotati ed intelligenti ha portato ad una sostanziale modifica di atteggiamento verso di loro. Si è visto infatti, come ad esempio questi bambini venivano stimolati di più e venivano lasciati maggiormente liberi di esprimersi godendo della fiducia delle maestre.

La forza dell’aspettativa e le convinzioni che la figura adulta aveva su questi bambini aveva in qualche modo influenzato il loro rendimento.

Questo fenomeno venne chiamato “Effetto Pigmalione o Rosenthal”.

L’effetto Pigmalione ci insegna molte cose. Quando siamo davanti ad un compito o ad un nuovo apprendimento o dobbiamo superare una prova quello che le persone per noi significative come un genitore, un insegnante, un mentore o comunque una figura che ha rispetto a noi una posizione di guida, pensa e si aspetta tenderà in modo significativo ad influenzarci.

Questo è un fenomeno che è valido in ogni età e in particolar modo per ragioni intuitive, soprattutto nell’età dello sviluppo. Certamente le aspettative che gli altri ripongono su di noi dovranno essere realistiche per produrre un effetto sul soggetto.

Ora vediamo come tutto questo impatta sul mondo dei bambini e nel rapporto tra genitori e figli e il ruolo delle aspettative negative!

Purtroppo infatti, l’effetto “Pigmalione” è valido anche al contrario.

Se i genitori, le maestre o gli adulti significativi intorno al bambino lo vedono come un bambino problematico, incapace, fragile, ecc ecc.. è molto probabile che il bambino tenderà a rispettare queste aspettative; un fenomeno che J. Bowlby ha chiamato introiezione. Il bambino oltre ad introiettare modi di fare, come funzionano le relazioni, introietta anche quello che può riassumersi nella frase “io ti vedo così” degli adulti significativi intorno a lui.

Un’età molto sensibile a questo aspetto è sicuramente quella che va dai 6 ai 12-13 anni per una serie di circostanze interne ed esterne al bambino e alla famiglia. E’ un’eta in cui il bambino è impegnato a continuare a costruire la propria mappa del mondo e i comportamenti di attaccamento sono forti e inoltre a sei anni la famiglia si apre maggiormente al mondo esterno. Con l’inizio della scuola, infatti, si entra in quella fase nuova che comprende anche l’aspetto della valutazione meno presente in precedenza. A quest’età sono importanti le maestre che incontriamo e quello che ci trasmettono a livello di fiducia verso noi stessi.

Le implicazioni pratiche di tutto questo sono davvero importanti.

Cosa accade quando un bambino incontra delle difficoltà che non riesce a risolvere e che si protraggono per un certo periodo? Se anche con l’intervento di genitori premurosi il problema tende a persistere questa situazione può comportare un cambiamento (o un rafforzamento) dell’idea che quei genitori hanno del proprio figlio. Cominceranno a pensare e quindi ad aspettarsi da lui, che non è capace, che non è intelligente, che è un bambino problematico ecce cc.

È qui che l’effetto pigmalione comincerà a produrre il suo effetto. Si creerà un’idea patogena che porterà a vedere il bambino come “problematico” e il bambino tenderà ad adeguarsi a questa aspettativa confermandola. Un circolo vizioso che si autorinforza.

Questo è anche il motivo per cui le diagnosi, in età evolutiva, possono avere un effetto iatrogeno importante, poiché cristallizzano un comportamento che, per sua natura, è quasi sempre evolutivo e quindi soggetto a cambiamento e perché tenderà a strutturare un’etichetta negativa che sarà difficile togliere in seguito. L’etichetta sarà ciò che il bambino imparera a mostrare di se stesso così avverrà che gli adulti tenderanno a leggerla come caratteristica di quel bambino rinforzandola ancora una volta in un circolo vizioso!

Quindi il grande rischio che corriamo è quello che davanti un comportamento problematico tenderemo a focalizzare la nostra attenzione proprio su quel comportamento dimenticandoci di tutto il resto, dimenticandoci di tutte le altre abilità che il bambino possiede, le risorse e le cose positive, creando un’immagine di quel bambino negativa che arriverà a lui condizionandolo.

Il bambino si ripeterà una frase del tipo: “Gli altri mi vedono così: io sono così!”

Molto di quello che accade nei comportamenti con i nostri bambini è condizionato dal nostro modo di vedere il mondo e dalle nostre esperienze con i nostri genitori. Liberarsi di esperienze poco utili non è semplice ne automatico ma certamente possibile. Per i nostri figli può essere fatto. Come genitori bisogna sforzarsi di vedere con occhi liberi da condizionamenti e paure i propri figli e lasciare che diventino ciò che sono. Le etichette in generale e quelle negative in particolare, il provare ad incasellare dentro categorie se pur aiuta a semplificare la lettura dei fenomeni non sempre aiuta a coglierne l’essenza.