Cookie Policy Verso una visione multifattoriale della depressione - Dott. Igor Siciliano

Premessa:

Dagli anni 70, dopo le istanze portate avanti da molti operatori del settore della salute mentale, vi è stato un periodo in cui il disagio psichico e le sofferenze emotive venivano lette all’interno di un contesto più ampio che non si esauriva nelle dinamiche intrapsichiche della persona interessata né al semplice aspetto neurobiologico. Un periodo in cui la persona, con la propria sofferenza, veniva messa al centro dell’attenzione con tutta la complessità di cui era portatrice: aspetti neurologici, sociali, affettivi, di contesto e di ciclo di vita. Anni in cui la legge Basaglia e il movimento culturale che ne stava alla base, segnavano un cambio di paradigma nell’intervento della sofferenza umana e della salute psichica.

Si potrebbe parlare a lungo sul cosa sia successo in questi ultimi 20 anni in cui invece sembra nuovamente prevalere un approccio medico e psichiatrico all’intervento dei disturbi psichici.

 

La depressione

La depressione oggi in Italia, ad esempio, per la maggior parte dei casi viene affrontata attraverso farmaci SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina, tra cui la Fluoxetina).

Ad oggi le stime di quante persone in Italia, soffrano di stati depressivi arrivano a circa il 5% della popolazione. Parliamo di circa 4,5 milioni di persone. Le donne ne sono colpite in percentuale di 2:1 rispetto agli uomini. L’OMS ci dice inoltre, che nel 2030 la previsione è che la depressione sarà la malattia cronica più diffusa al mondo.

In Italia come si affronta e cura la depressione?

Principalmente con antidepressivi. Farmaci che agiscono stimolando generalmente la serotonina o sostanze simili.

Il modo di affrontare una malattia dipende dalle cause che si pensa siano alla base di quella malattia ovvero le ipotesi eziologiche.

È evidente come ad oggi, la concezione dominate, ritiene che la depressione sia uno stato innescato da un malfunzionamento nella produzione di sostanze del sistema nervoso centrale.  Il paziente produce sostanze, come ad esempio il cortisolo, che faranno sperimentare lo stato depressivo. Quello che, è evidente, è che si fa fatica ancora ad integrare in questo modello medico, l’idea che quello che accade intorno alla persona e dentro la persona, inteso come percezione delle cose e ciò che gli accade nella vita, influenzi la produzione di una sostanza piuttosto che un’altra. Ovvero i fattori ambientali e sociali influenzano l’insorgere e/o il mantenimento di una forma depressiva. Questa è una verità assodata ma di cui sembra non si voglia tener conto. La depressione è sempre una risposta comportamentale ad una data situazione. I cambiamenti neurologici sono l’effetto visibile a livello neuronale di una determinata situazione e o evento.

La dott.ssa Silvia Poggini, ricercatrice all’Istituto Superiore di Sanità di Roma ha partecipato ad uno studio sugli effetti dei farmaci SSRI sulla depressione. Il cuore della ricerca consisteva nell’osservare le reazioni di una popolazione di topi di laboratorio sottoposti a stress fino a raggiungere uno stato depressivo. Di per se è già interessante il fatto che uno stato depressivo possa essere fatto insorgere volontariamente, attraverso la manipolazione di fattori ambientali. La popolazione di topolini, della dottoressa Poggini, è stata quindi, in un secondo momento divisa in due parti. Ad entrambe sono stati somministrati farmaci SSRI ma la metà dei topolini è stata lasciata in una situazione di stress mentre l’altra metà è stata messa in una situazione più confortevole. Ebbene i topolini che continuavano a vivere in una situazione stressante nonostante i farmaci antidepressivi mostravano ancora i sintomi della depressione mentre molto meglio andavano i topolini messi in un ambiente confortevole. Pur se la ricerca è solo sperimentale i risultati sembrano essere interessanti, poiché vanno a sostenere quanti da anni ci dicono che i farmaci non sono la soluzione definitiva e che da soli non sono sufficienti a curare una malattia come la depressione.

I dati della ricerca evidenziano che la depressione è sempre in relazione all’ambiente esterno in cui il soggetto è inserito e che i farmaci pur aiutando non sono risolutivi. A questo infatti bisogna aggiungere che i farmaci antidepressivi hanno molti effetti collaterali e non ultimo la dipendenza dal farmaco stesso. A tale proposito si parla di effetti iatrogeni degli antidepressivi. A questo si va ad aggiungere che non è stata dimostrata nel lungo periodo la loro efficacia.

Conclusioni:

Troppo velocemente nei servizi territoriali si ricorre alla prescrizione di farmaci antidepressivi senza mettere in piedi un progetto psicoterapeutico, capace quindi di includere tutti i fattori e gli strumenti utili per aiutare una persona ad affrontare le proprie difficoltà, in questo caso la depressione.

Probabilmente questo modo di fare, oltre che, dovuto ad una visione della depressione, che tiene conto solo di fattori neurobiologici, sembra essere una necessità per come sono organizzati i servizi territoriali. Infatti, pur costando nel lungo periodo molto meno e ottenendo migliori risultati attraverso le psicoterapie, nel nostro paese si continua a preferire la prescrizione dei farmaci poiché non richiede uno sforzo organizzativo e un cambiamento di protocolli (e culturale) oltre che la necessità di riorganizzazione dei servizi.

Quello che appare ormai evidente è la necessità di progettare percorsi psicoterapeutici efficaci che siano al centro dell’intervento come pilastro su cui si poggia l’idea della cura. Dare parole al dolore (L. Cancrini) sembra davvero una priorità quando si parla di depressione e di sofferenza psichica.